Agghiacciante. Il report “Quanti morti se arriva la scossa” di L’Espresso del 2013 fa accapponare la pelle: numeri da capogiro sulla previsione di danni e vittime in caso di terremoto, elaborati Comune per Comune su tutta Italia. Quello che lascia senza parole è come la denuncia dei disastri, annunciati nero su bianco da studi tecnici, sia caduta nel vuoto: nessuna Istituzione ne ha preso atto né divulgato la conoscenza, nessuno ha ripreso il servizio giornalistico diffondendone il contenuto: sono visibili solo un paio di pagine facebook e la ripubblicazione da parte di Terrascienza.
Le terribili previsioni sono state estratte dalla banca dati del dipartimento della Protezione Civile e sono fornite per pianificare l’emergenza in caso di terremoto: migliaia di schede riservate, aggiornate periodicamente e mai rese pubbliche, elaborazioni ufficiali di un rapporto-choc dal quale emerge tutta la scarsa prevenzione e l’inadeguatezza totale dei meccanismi degli eventuali soccorsi. In sostanza, si tratta di una proiezione con la quale sono state ricalcolate le conseguenze che si registrerebbero ai giorni nostri se una delle nostre città venisse colpita oggi da un terremoto pari alla massima intensità già registrata localmente nei tempi passati.
Il risultato è incredibile e viaggia su numeri da orrore, di questa portata: un terremoto a Catania mieterebbe 161.829 morti, 111.622 a Messina, 84.559 a Reggio Calabria, 45.991 a Catanzaro, 31.858 a Benevento, 19.053 a Potenza, 73.539 a Foggia, 24.016 a Campobasso, 20.683 a Rieti. Roma avrebbe 6.907 abitanti sotto le macerie, a Verona ne sarebbero 7.601, a Belluno 17.520, a Brescia 5.224. Anche Milano dovrebbe organizzare le ricerche e il soccorso di 962 persone travolte dai crolli e l’assistenza a 26.400 senza tetto. La lettura intera del rapporto fa girare la testa e lascia increduli. Talmente increduli che tutti i decisori pubblici hanno fatto finta di niente.
Una rete di monitoraggio internazionale, alla quale partecipa il dipartimento di Matematica e geoscienze dell’Università di Trieste, ha da tempo pronunciato un allarme terremoto in Calabria e in Sicilia orientale: eppure i dati correnti sono tenuti segreti. Vengono comunicati soltanto alle agenzie governative. Dunque, la grande quantità di piccole scosse registrate proprio in Calabria e nell’Italia centrale dicono qualcosa… ma non se ne vuole tenere conto. Anzi, l’esperienza del terremoto dell’Aquila – dove la gente racconta che nei giorni precedenti il 6 aprile circolavano automobili delle Istituzioni locali che con i megafoni sollecitavano il rientro in casa perché quelle in corso erano solo scosse di assestamento – sta a dimostrare quanto poco siano affidabili le azioni di prevenzione, anzi, quanto nel concreto non esistano affatto. All’Aquila qualcuno sapeva.
La banca dati, di cui “l’Espresso” ha pubblicato uno stralcio , è da anni sfruttata dalla Protezione civile ed è stata realizzata da un gruppo di lavoro del Servizio sismico nazionale guidato dall’ingegnere Giampiero Orsini. Perché non viene usata ai fini della prevenzione è frutto di credibili deduzioni, ma in luogo di queste dovremmo invece ricevere risposte ufficiali dalle Istituzioni. E si, poiché se è vero, posto che sia vero, che il terremoto non è prevedibile con precisione, è parimenti vero che le indicazioni di massima, pur senza data e ora, sono attendibilissime e indispensabili per organizzare l’emergenza: dunque, se non si può procedere all’evacuazione (e ne andrebbe pure affrontato il perché…) le Regioni sono poste nella condizione di allertare le reti di soccorso organizzate secondo il piano comunale.
Purtroppo  “è qui che casca l’asino”: l’esempio seguente è esemplificativo. La Calabria è la regione dove la Protezione Civile è tra le più allenate, ebbene, qui un terzo dei sindaci non ha un piano comunale. Tradotto, significa che in caso di emergenza gli abitanti non saprebbero dove raccogliersi e i soccorritori dove portare i feriti. Praticamente nel nostro Paese l’emergenza è affidata all’emergenza.
Il fatto va posto probabilmente in questi termini: qualora si riuscisse a far passare il messaggio di cui sopra, bisognerebbe INVESTIRE IN PREVENZIONE, ma su questa non si rinvengono ancora interessi di facile soddisfazione come sono invece quelli in essere sugli interventi post sisma: su tale seconda specie la legge – anzi, LE LEGGI, cioè una quantità generata a bella posta – hanno creato una classe sociale di miliardari, si veda uno per tutti il caso dell’Irpinia, (in tal senso, e oltre, cfr il rapporto 2011 dell’Osservatorio permanente sul dopo sisma “La fabbrica del terremoto” di Antonello Caporale).
Concludiamo, ma consentiteci di parlare anche di noi: ottenere che nei piani nazionali siano inserite le innovazioni tecnologiche appartenenti alla tipologia “prevenzione antisismica, anche passiva”, ci porrebbe nelle condizioni di salvare la vita ad una quantità infinita di famiglie e di pianificare gli interventi dei soccorritori in favore delle vittime.
Immaginiamo come potrebbero lavorare scientificamente i soccorritori con una mappa delle Stanze Antisismiche presenti sul territorio devastato.
Immaginiamo quante persone vive e illese sarebbero recuperate nelle Stanze Antisismiche anziché sotto le macerie e in luogo di morti e feriti.
Immaginiamo adesso quanto il terremoto smetterebbe di fare così paura con un semplice intervento di ristrutturazione che installa una Stanza Antisismica. I morti come i vivi sotto le macerie sono un orrore che nessuno dovrebbe mai vedere… o vivere.
E che nel Terzo Millennio stigmatizza i vertici dell’organizzazione sociale come incivili.
A meno di essere colpevoli con dolo.

Maria Paola Iannella per Madis Room – La Stanza Antisismica
L’Aquila, 26 settembre 2014

foto morti ridotta

 

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